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TEXTO ORIGINAL

I Fioretti di San Francesco - 26

CAPITOLO XXVI. 

Come Santo Francesco convertì tre ladroni miciliali, e fecionsi Frati; e della nobilissima visione, che vide l’uno di loro, il quale fu santissimo Frate. 

Santo Francesco andò una volta per lo diserto del Borgo a Santo Sipolcro, e passando per uno castello, che si chiama Monte Casale, venne a lui un giovane nobile e dilicato, e dissegli: Padre, io vorrei molto volentieri essere de’ vostri Frati. Risponde Santo Francesco: Figliuolo, tu se’ giovane, dilicato e nobile; forse che tu non potresti sostenere la povertà, e l’asprezza nostra. Ed egli disse: Padre, non sete voi uomini come io? dunque come la sostenete voi, così potrò io colla grazia di Gesù Cristo. Piacque molto a Santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo, immantenente lo ricevette all’Ordine, e puosegli nome Frate Angelo; e portossi questo giovane così graziosamente, che ivi a poco tempo, Santo Francesco il fece Guardiano nel luogo detto di Monte Casale. In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, li quali faceano molti mali nella contrada; li quali vennono un dì al detto luogo de’ Frati, e pregavano il detto Frate Angelo Guardiano, che desse loro da mangiare, e ‘l Gluardiano rispuose loro in questo modo, riprendendogli aspramente: Voi ladroni, e crudeli omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui; ma eziandio, come presuntuosi e sfacciati, volete divorare le limosine, che sono mandate alli servi di Dio; che non siete pure degni, che la terra vi sostenga; perocchè voi non avete nessuna reverenzia nè a uomini, nè a Dio, che vi creò: andate dunque per li fatti vostri, e qui non apparite più: di che coloro turbati, si dipartirono con grande sdegno. Ed ecco Santo Francesco tornare di fuori colla tasca del pane, e con un vaselletto di vino, ch’egli, e ‘l compagno aveano accattato: e recitandogli il Guardiano, come egli avea cacciato coloro, Santo Francesco fortemente lo riprese, dicendo, che s’era portato crudelmente; imperocchè li peccatori meglio si riducono a Dio con dolcezza, che con crudeli riprensioni: onde il nostro Maestro Gesù Cristo, il cui evangelio noi abbiamo promesso d’osservare, dice, che non è bisogno a’ sani il medico, ma agli infermi; e che non era venuto a chiamare li giusti, ma li peccatori a penitenzia: e però egli ispesse volte mangiava con loro. Conciossiacosa adunque, che tu abbi fatto contra alla caritade, e contro al santo evangelio di Cristo; io ti comando per santa obbedienza, che immantanente tu prenda questa tasca del pane ch’io ho accastato, e questo vasello del vino, e va loro dietro sollecitamente, per monti e per valli, tanto che tu gli truovi, e presente loro tutto questo pane e vino per mia parte; e poi t’inginocchia loro dinanzi, e di’ loro umilmente tua colpa della tua crudeltà; e poi gli priega da mia parte, che non facciano più male, ma temano Iddio, e non lo offendano più: e s’egli faranno questo, io prometto di provvedergli nelli loro bisogni, e di dare loro continuamente da mangiare, e da bere: e quando tu arai detto loro questo, ritornati in qua umilmente. Mentre che ‘l detto Guardiano andò a fare il comandamento di Santo Francesco, elli si puose in orazione, e pregava Iddio, che ammorbidasse i cuori di quelli ladroni, e convertissegli a penitenzia. Giugne a loro l’ubbidiente Guardiano, ed appresenta loro il pane e ‘l vino, e fa e dice ciò, che Santo Francesco gli ha imposto. E come piacque a Dio, mangiando quelli ladroni la limosina di Santo Francesco, cominciarono a dire insieme: Guai a noi miseri isventurati! e come dure pene dello inferno ci aspettiamo! che andiamo non solamente rubando li prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo: e nientedimeno di tanti mali, e così scellerate cose, come noi facciamo, noi non abbiamo nessuno rimordimento di coscienzia, nè timore di Dio; ed ecco questo Frate santo, che è venuto a noi per parecchie parole, che ci disse giustamente per la nostra malizia, ci ha detto umilmente sua colpa; e oltre a ciò, ci ha recato il pane e lo vino, e così liberale promessa del santo Padre; veramente questi sì sono Frati santi di Dio, li quali meritano Paradiso di Dio; e noi siamo figliuoli della eternale perdizione, li quali meritiamo le pene dello inferno, e ogni di accresciamo alla nostra perdizione; e non sappiamo, se de’ peccati che noi abbiamo fatti insino qui, noi potremo tornare alla misericordia di Dio. Queste, e simiglianti parole dicendo l’uno di loro, dissono gli altri: Per certo tu di’ il vero, ma ecco, che dobbiamo noi fare? Andiamo, disse uno, a Santo Francesco; e s’egli ci dà speranza, che noi possiamo tornare a misericordia da Dio de’ nostri peccati, facciamo ciò che lui ci comanda, e possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno. Piacque questo consiglio agli altri; e così tutti e tre accordati, se ne vengono in fretta a Santo Francesco, e diconli così: Padre, noi per molti scellerati peccati che noi abbiamo fatti, noi non crediamo potere tornare alla misericordia di Dio: ma se tu hai nessuna isperanza, che Iddio ci riceva a misericordia, ecco che noi siamo apparecchiati a fare ciò che ci dirai, e di fare penitenzia con teco. Allora Santo Francesco, ritenendoli caritativamente e con benignità, sì gli confortò con molti esempli: e rendendoli certi della misericordia di Dio, promise loro di certo d’accattarla loro da Dio, e mostrando loro, la misericordia di Dio essere infinita: e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la misericordia di Dio è maggiore, che’ nostri peccati, secondo il Vangelo; e lo Apostolo Santo Paulo disse: Cristo benedetto venne in questo mondo, per ricomperare li peccatori. Per le quali parole, e simiglianti ammaestramenti, li detti tre ladroni renunziarono al Demonio, e alle sue operazioni; e Santo Francesco li ricevette all’Ordine, e cominciarono a fare grande penitenzia: due di loro poco vissono, dopo la loro conversione, e andaronsi a Paradiso. Ma il terzo sopravvivendo, e ripensando a’ suoi peccati, si diede a fare tale penitenzia, che per quindici anni continui, eccetto le quaresime comuni, le quali egli facea con gli altri Frati, d’altro tempo tre dì della settimana digiunava in pane e in acqua, e andando sempre iscalzo, e con una sola tonica indosso, mai non dormia dopo mattutino. Fra questo tempo Santo Francesco passò di questa misera vita. Avendo dunque costui per molti anni continovata cotale penitenzia; ecco ch’una notte, dopo ‘l mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno, che per nessuno modo egli potea resistere al sonno, e vegghiare come soleva. Finalmente non potendo egli resistere al sonno, nè orare, andossene in su letto per dormire: e subito ch’egli ebbe posto giù il capo, fu ratto, e menato in ispirito in su uno monte altissimo; al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi spezzati e ischeggiati, e iscogli disuguali, che uscivano fuori de’ sassi: di che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l‘Angelo, che menava questo Frate, si lo sospinse, e gittollo giuso per quella ripa: il quale trabalzando, e percotendo di scoglio in iscoglio, e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di questa ripa tutto ismembrato e minuzzato, secondo che a lui parea, e giacendosi così male acconcio in terra, dicea colui che ‘l menava: Lieva su, che ti conviene fare ancora maggiore viaggio. Rispuose il Frate: Tu mi pari molto indiscreto e crudele uomo; che mi vedi per morire della caduta, che m’ha così ispezzato, e dimmi che mi levi su, e l‘Angelo s’accosta a lui, e toccandolo gli salda perfettamente tutti gli membri, e sanalo. E poi gli mostra una grande pianura piena di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli; e dicegli, che per tutto questo piano gli conviene correre, e passare a piedi ignudi, insino che giunga al fine; nel quale e’ vedea una fornace ardente, nella quale gli convenia entrare. Ed avendo il Frate passato tutta la pianura con grande angoscia e pena, l‘Angelo li dice: Entra in questa fornace, perocchè così ti conviene fare. Risponde costui: Oimè, quanto tu mi se’ crudele guidatore! che mi vedi esser presso che morto, per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di’, che io entri in questa fornace ardente. E ragguardando costui, e’ vide intorno alla fornace molti Demoni colle forche di ferro in mano, colle quali costui, perchè indugiava d’entrare, il sospinsono dentro subitamente. Entrato che fu nella fornace, ragguardando e’ vide uno, ch’era istato suo compare, il quale ardeva tutto quanto: e costui il comanda: O compare isventurato, come venisti tu qua? Ed egli risponde: Va un poco più innanzi, e troverai la moglie mia tua comare, la quale ti dirà la cagione della nostra dannazione. Andando il Frate più oltre, eccoti apparve la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura di grano tutta di fuoco: ed egli la comanda: O comare isventurata e misera, perchè venisti tu in così crudele tormento? ed ella rispuose: Imperocchè al tempo della grande fame, la quale Santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio e io falsavamo il grano e la biada, che noi vendevamo nella misura; e però io ardo istretta in questa misura. E dette queste parole l‘Angelo che menava il Frate, sì lo sospinse fuori della fornace, e poi li disse: Apparecchiati a fare uno orribile viaggio, il quale tu hai a passare. E costui rammaricandosi, dicea: O durissimo conduttore, il quale noln m’hai nessuna compassione! tu vedi, ch’io sono quasi tutto arso in questa fornace, e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso, e orribile, e allora l’Angelo il toccò, e fecelo sano e forte. Poi il menò ad uno ponte, il quale non si potea passare senza grande pericolo; imperocchè egli era molto sottile e stretto, e molto isdrucciolente, e senza sponde d’allato; e di sotto passava un fiume terribile, pieno di serpenti e di dragoni e di scarpioni, e gittava uno grandissimo puzzo; e dissegli l‘Angelo: Passa questo ponte, e al tutto te lo conviene passare. Risponde costui: E come lo potrò io passare, ch’io non caggia in quello pericoloso fiume? Dice l‘Angelo: Vienne dopo me, e poni il tuo piè dove tu vedrai ch’io porrò il mio, e così passerai bene. Passa questo Frate dietro all’Angelo, come l’aveva insegnato, tanto che giunse a mezzo il ponte; e essendo così sul mezzo, l’Angelo si volò via; e partendosi da lui, se ne andò in su uno monte altissimo, di là assai dal ponte, e costui considera bene il luogo, dove era volato l‘Angelo: ma rimanendo egli senza guidatore, e riguardando giù, vedea quegli animali tanto terribili stare con li capi fuori dell’acqua, e colle bocche aperte, apparecchiati a divorarlo, s’egli cadesse: ed era in tanto tremore, che per nessuno modo non sapea che si fare, nè che si dire; perocchè non potea tornare addietro, nè andare innanzi. Onde veggendosi in tanta tribolazione, e che non avea altro refugio se non in Dio; sì s’inchinò e abbracciò il ponte, e con tutto il cuore e con lagrime si raccomanda a Dio, che per la sua santissima misericordia lo dovesse soccorrere. E fatta l’orazione, gli parve cominciare a mettere ale: di che egli con grande allegrezza aspettava, ch’elle crescessono, per potere volare di là dal ponte, dov’era volato l‘Angelo. Ma dopo alcuno tempo per la grande voglia ch’egli avea di passare per questo ponte, si mise a volare; e perchè l’ale non gli erano tanto cresciute, egli cadde in sul ponte, e le penne gli caddono, di che costui abbraccia da capo il ponte, e come in prima raccomandasi a Dio; e fatta l’orazione, anche gli parve mettere ale; ma come in prima, non aspettò ch’elle crescessono perfettamente: onde, mettendosi a volare innanzi al tempo, ricadde da capo in sul ponte, e le penne gli caddono. Par la qual cosa veggendo che per la fretta ch’egli avea di volare innanzi al tempo, cadea, così incominciò a dire fra sè medesimo: Per certo, che se io metto ale la terza volta, ch’io aspetterò tanto, ch’elle saranno sì grandi, che io potrò volare senza ricadere. E stando in questi pensieri; ed egli si vide la terza volta mettere ali: e aspettando grande tempo, tanto ch’ell’erano bene grandi, parveli, per lo primo e secondo e terzo mettere ali, avere aspettato bene cento cinquanta anni, o più. Alla fine si lieva questa terza volta, con tutto il suo; sforzo prese il volo, e volò in alto insino al luogo, ov’era volato l‘Angelo; e bussando alla porta del palagio, nel quale egli era, il portinaio il comanda: Chi se’ tu, che se’ venuto qua? Rispuose quello: Io sono Frate Minore. Dice il portinajo: Aspettami, ch’io ci voglio menare Santo Francesco, a vedere se ti cognosce. Andando colui per Santo Francesco, e questi comincia a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti queste mura pareano tralucenti, e di tanta chiarità che vedea chiaramente li cori de’ Santi, e ciò che dentro vi si faceva. E stando costui istupefatto in questo ragguardare, ecco viene Santo Francesco, e Frate Bernardo, e Frate Egidio; e dopo costoro tanta moltitudine di Santi e di Sante, che aveano seguitata la vita sua, che quasi pareano innumerabili; e giungendo Santo Francesco, disse al portinajo: Lascialo entrare drento, imperocch’egli è de’ miei Frati. E sì tosto come e’ vi fu entrato, e’ sentì tanta consolazione e tanta dolcezza, che egli dimenticò tutte le tribulazioni, che egli avea avute, come se mai non fussono state. E allora Santo Francesco menandolo dentro, sì li mostrò molte cose maravigliose, e poi sì gli disse: Figliuolo, e’ ti conviene ritornare al mondo, e starai sette dì, ne’ quali tu t’apparecchia diligentemente con grande divozione; imperocchè dopo li sette dì, io verrò per te, e allora tu ne verrai meco a questo luogo de’ beati. Era ammantato Santo Francesco d’uno mantello maraviglioso, adornato di stelle bellissime; e le sue cinque istimate, erano siccome cinque stelle bellissime, di tanto splendore, che tutto il palagio alluminavano on li loro raggi. E Frate Bernardo avea in capo una corona di stelle bellissime; e Frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi Frati tra loro cognobbe, li quali al mondo non avea mai veduti. Licenziato dunque da Santo Francesco, si ritornò, benchè mal volentieri, al mondo. Destandosi, e ritornando in sè e risentendosi, i Frati sonavano a Prima: sicchè non era istato in quella visione, se non da mattntino a Prima; benchè a lui fosse paruto istare molti anni. E recitando al suo Guardiano tutta questa visione con ordine, infra gli sette dì si incominciò a febbricitare; e l’ottavo dì venne per lui Santo Francesco, secondo la ‘mpromessa, con grandissima moltitudine di gloriosi Santi e menonne l‘anima sua al Regno de’ Beati, a vita eterna.

TEXTO TRADUZIDO

I Fioretti di San Francesco - 26

Capítulo XXVI. 

Como São Francisco converteu três ladrões homicidas e eles ficaram frades, e sobre a nobilíssima visão que um deles teve, o qual foi um frade muito santo. 

Uma vez, São Francisco foi pelo deserto do Borgo a San Sepolcro e, passando por um castelo que se chama Monte Casale, veio a ele um jovem nobre e delicado, e lhe disse: “Pai, eu gostaria de ser um dos vossos frades, de muito boa vontade”. São Francisco respondeu: “Filho, tu és jovem, delicado e nobre; pode ser que não possas suportar a nossa pobreza e aspereza”. E ele disse: “Pai, vós não sois homens como eu? Então como vós as suportais, eu também poderei, com a graça de Cristo”. São Francisco gostou muito daquela resposta. Por isso, abençoando-o, recebeu-o imediatamente na Ordem e lhe deu o nome de Frei Ângelo. E esse jovem comportou-se tão graciosamente que, pouco tempo depois, São Francisco o fez guardião do lugar chamado Monte Casale. 
Naquele tempo, andavam por aquela região três ladrões famosos, que faziam muito mal por ali. Um dia eles foram ao dito lugar dos frades e pediram ao referido Frei Ângelo, guardião, que lhes desse de comer. E o guardião respondeu-lhes deste modo, repreendendo-os asperamente: “Vós, ladrões, cruéis e homicidas, não vos envergonhais de roubar as fadigas dos outros mas até, presunçosos e descarados, quereis devorar as esmolas que são mandadas para os servos de Deus, que não sois dignos nem que a terra vos sustenha, pois não tendes nenhuma reverência nem aos homens nem a Deus que vos criou. Por isso, ide cuidar de vossa vida, e não me apareçais mais aqui”. Por isso eles, perturbados, partiram com muita raiva. 
E eis que São Francisco voltou de fora com a bolsa do pão e uma garrafinha de vinho que ele e o companheiro tinham mendigado. Como o guardião lhe contou como tinha despachado aqueles homens, São Francisco repreendeu-o fortemente, dizendo que se comportara com muita crueldade, “pois eles são melhor reconduzidos a Deus com doçura do que com cruéis repreensões. Por isso nosso mestre, Jesus Cristo, cujo evangelho prometemos observar, diz que não são os sadios que precisam de médico mas os doentes, e que não tinha vindo para chamar os justos mas os pecadores para fazer penitência. E por isso muitas vezes comia com eles. E como agiste contra a caridade e contra o evangelho de Cristo, eu te mando pela santa obediência que pegues imediatamente esta bolsa do pão que eu mendiguei e esta garrafinha de vinho, e os busque solicitamente pelas montanhas e vales até os encontrares, e lhes apresenta todo este pão e todo este vinho da minha parte. Ajoelha-te depois diante deles lhes diz humildemente a culpa pela tua crueldade, e depois lhes pede, da minha parte, que não façam mais mal, mas temam a Deus e não ofendam o próximo; e se eles fizerem isso, eu prometo prove-los em suas necessidades e dar-lhes continuamente de comer e de beber. E quanto lhes tiveres dito isso, volta para cá humildemente”. Enquanto o dito guardião foi cumprir a ordem de São Francisco, e se pôs em oração e rogava a Deus para que amolecesse os corações daqueles ladrões e os convertesse para a penitência. 
O obediente guardião chegou a eles e lhes apresentou o pão e o vinho, fez e disse o que São Francisco lhe tinha imposto. E, como agradou a Deus, quando aqueles ladrões comeram a esmola de São Francisco, começaram a dizer ao mesmo tempo: “Ai de nós, míseros desventurados! E como merecemos as duras penas do inferno, nós que vamos não só roubando o próximo, mas também batendo e ferindo, e até matando. E apesar de tantos males e de coisas tão celeradas coisas, como nós fazemos, nós não temos nenhum remorso de consciência nem temor de Deus. E eis que este frade santo vem a nós, por causa de umas poucas palavras que nos disse justamente por nossa maldade, disse-nos humildemente a sua culpa e além disso nos trouxe o pão, o vinho e uma promessa tão liberal do santo pai. Na verdade, estes são os frades santos de Deus, que merecem de Deus o paraíso, e nós somos filhos da perdição eterna, que merecemos as penas do inferno, e crescemos todos os dias na nossa perdição, e não sabemos se, dos pecados que fizemos até aqui, vamos poder voltar para a misericórdia de Deus”. 
Dizendo um deles essas e semelhantes palavras, os outros dois disseram: “É certo que dizes a verdade; mas que é que nós vamos fazer?”. O outro disse: “Vamos a São Francisco, e se ele nos der esperança de que podemos voltar para a misericórdia de Deus por nossos pecados, faremos o que ele nos mandar e poderemos libertar nossas almas das penas do inferno”. 
Esse conselho agradou aos outros, e assim os três foram depressa a São Francisco e lhe disseram: “Pai, nós, pelos muitos pecados celerados que fizemos, não cremos que vamos poder voltar para a misericórdia de Deus; mas se tu tiveres alguma esperança de que Deus vai nos receber na misericórdia, eis que estamos prontos para fazer o que tu disseres e para fazer penitência contigo”. 
Então São Francisco, recebendo-os com bondade, confortou-os com muitos exemplos e, tornando-os certos da misericórdia de Deus prometeu-lhes com certeza que ia alcança-la de Deus e mostrando-lhes que a misericórdia de Deus era infinita: “mesmo que nós tivéssemos pecados infinitos, a misericórdia de Deus ainda é maior que os nossos pecados, segundo o Evangelho. E o apóstolo São Paulo disse: Cristo bendito veio a este mundo para resgatar os pecadores. Por essas palavras e semelhantes ensinamentos, os ditos três ladrões renunciaram ao demônio e às suas obras, e São Francisco recebeu-os na Ordem, e começaram a fazer grande penitência. 
Dois deles viveram pouco depois da sua conversão e foram para o paraíso. Mas o terceiro sobreviveu, repensou nos seus pecados e se entregou a fazer tanta penitência que, por quinze anos consecutivos, exceto nas quaresmas comuns, que fazia com os outros frades, no resto do tempo sempre jejuava a pão e água três dias por semana, andava sempre descalço e com uma só túnica, e nunca dormia depois de matinas. 
Nesse tempo, São Francisco passou desta mísera vida. E como ele continuou por muitos anos tal penitência, eis que uma noite, depois de matinas, teve tanta tentação de sono que de modo algum podia resistir ao sono e velar como costumava. Finalmente, como não podia resistir ao sono nem orar, foi para a cama dormir. E, de repente, quando repousou a cabeça, foi arrebatado e levado em espírito para cima de um monte altíssimo, no qual havia um abismo profundíssimo e, dos dois lados, havia penhascos lascados e aguçados, e ainda escolhos desiguais que se projetavam para fora dos penhascos. Por isso, dava medo olhar para baixo. E o Anjo que estava levando o frade levantou-o e o jogou para baixo no abismo. Ele, ricocheteando e batendo de escolho em escolho e de penhasco em penhasco, no fim chegou ao fundo do abismo, todo desmembrado e esmigalhado, como lhe parecia. 
Estendido tão mal lá no chão, dizia-lhe o que o levava: “Levanta-te que ainda tens que fazer uma longa viagem”. O frade respondeu: “Tu me pareces um homem muito indiscreto e cruel, pois estás vendo que eu estou morrendo pela queda, que me despedaçou desse jeito, e me dizes: Levanta-te!”. 
O anjo aproximou-se dele, consertou todos os seus membros e o curou. Depois mostrou-lhe uma grande planície de pedras aguçadas e cortantes, de espinhos e de abrolhos, e lhe dizia que tinha que correr por toda essa planície passando de pés descalços até chegar ao fim. Lá ele via uma fornalha ardente em que tinha que entrar. 
Quando o frade passou todo o plano com grande angústia e pena, o Anjo lhe disse: “Entra nessa fornalha, pois assim convém que faças”. Ele respondeu: “Ai, que guia cruel tu és, que me vês quase morto por essa angustiosa planície e agora, para descansar, dizes que eu entre nessa fornalha ardente”. E olhando ele viu ao redor da fornalha muitos demônios com forcados de ferro na mão, com os quais eles o jogaram de repente dentro da fornalha, porque estava demorando para entrar. Quando estava dentro da fornalha, olhou e viu um que tinha sido seu compadre, que estava todo em chamas. E lhe perguntou: “Ó compadre desventurado, como vieste parar aqui?”. O outro respondeu: “Vai um pouco mais para frente vais encontrar minha mulher, tua comadre, que te contará o motivo da nossa condenação”. O frade foi mais para a frente e eis que lhe apareceu a comadre, pegando fogo, fechada numa medida de trigo toda de fogo; e lhe perguntou: Ó comadre desventurada e mísera, porque vieste a tão cruel tormento?”. Ela respondeu: “Porque no tempo da grande fome, que São Francisco predisse antes, meu marido e eu falsificamos o trigo e a aveia que vendíamos na medida, e por isso estou ardendo apertada nesta medida”. 
Ditas essas palavras, o Anjo que levava o frade empurrou-o para fora da fornalha e depois lhe disse: “Prepara-te para fazer uma viagem horrível, pela qual tens que passar”. Ele se lamentava dizendo: “Ó guia duríssimo, que não me tens nenhuma compaixão. Estás vendo que eu estou quase todo queimado nesta fornalha e ainda me queres levar numa viagem perigosa e horrível?”. 
Então o Anjo tocou-o e o fez são e forte. Depois, levou-o a uma ponte, que não se podia passar sem grande perigo, pois era muito fina, estreita e muito escorregadia, sem parapeitos do lado, e embaixo passava um rio terrível, cheio de serpentes, dragões e escorpiões, e soltava um enorme fedor. E o Anjo lhe disse: “Passa por esta ponte, porque te convém passar por tudo”. Ele respondeu: “E como vou poder passar sem cair nesse rio perigoso?”. O Anjo disse: “Vem atrás de mim e põe o teu pé onde me vires pôr o meu, e assim vais passar bem”. O frade passou atrás do anjo, como lhe tinha sido ensinado, tanto que chegou ao meio da ponte. Quando estava no meio, o anjo foi embora voando, indo parar num monte altíssimo, bem para lá da ponte. Ele considerou bem o lugar para onde o Anjo tinha voado, mas como ficou sem guia e olhou para baixo, via que aqueles animais tão terríveis estavam com a cabeça fora da água e com as bocas abertas, prontos para devora-lo se caísse. Tremia tanto que não sabia de modo algum o que tinha que fazer ou que tinha que dizer, pois não podia voltar atrás nem ir para frente. 
Vendo-se no meio de toda essa tribulação, e que não tinha outro refúgio a não ser Deus, ajoelhou-se, abraçou a ponte e, de todo coração e com lágrimas, recomendou-se a Deus, que por sua santíssima misericórdia devia socorre-lo. Feita a oração, pareceu-lhe que começava a criar asas. Por isso esperou com muita alegria que elas crescessem para poder voar para lá da ponte, para onde tinha voado o Anjo. Mas, depois de algum tempo, pela grande vontade que tinha de passar a ponte, começou a voar. Mas como as asas não tinham crescido bastante, caiu em cima da ponte e lhe caíram as penas. Então e recomeçou a abraçar a ponte e a recomendar-se a Deus, como antes. Feita a oração, também agora pareceu-lhe que criava asas. Mas, como antes, não esperou que crescessem perfeitamente e, por isso, pondo-se a voar antes da hora, caiu de novo em cima da ponte, e as penas caíram. Então, vendo que caía pela pressa que tinha de voar antes da hora, começou a dizer consigo mesmo: “É certo que se eu criar asas uma terceira vez vou esperar que elas fiquem tão grandes que poderei voar sem tornar a cair”. E estando a pensar nisso, viu que estava criando asas uma terceira vez. Esperou muito tempo, até que elas ficaram bem grandes. E lhe pareceu que, com isso de criar asas a primeira, a segunda e a terceira vez, tinha esperado bem cento e cinqüenta anos ou mais. No fim, levantou-se para voar essa terceira vez, com todo o seu esforço e voou para o lugar aonde o Anjo tinha voado. 
Batendo na porta do palácio em que ele estava, o porteiro lhe perguntou: “Quem és tu que vieste aqui?”. Respondeu: “Eu sou frade menor”. Disse o porteiro: “Espera que eu vou trazer São Francisco para ver se te conhece”. Enquanto ele foi procurar São Francisco, o frade começou a olhar as paredes maravilhosas do palácio. E eis que essas paredes eram tão brilhantes e de tanta claridade, que via claramente os coros dos santos e o que se fazia lá dentro. Estava a olhar estupefato quando chegaram São Francisco com Frei Bernardo e Frei Egídio, e atrás de São Francisco uma multidão tão grande de santos e de santas que tinham seguido a sua vida, que quase parecia inumerável. Quando São Francisco chegou, disse ao porteiro: “Deixa-o entrar, pois ele é um dos meus frades”. 
Assim que entrou, ele sentiu tanta consolação e tanta doçura que se esqueceu de todas as tribulações pelas quais tinha passado, como se não tivessem existido. Então São Francisco levou-o para dentro e lhe mostrou muitas coisas maravilhosas. Depois lhe disse: “Filho, convém que tu voltes para o mundo e lá estarás sete dias, nos quais tu te prepararás diligentemente e com grande devoção porque, depois dos sete dias, eu irei te buscar, e então tu virás comigo para este lugar de bem-aventurados”. 
São Francisco estava coberto com um manto maravilhoso, adornado de estrelas belíssimas, e as suas cinco chagas eram como estrelas belíssimas e de tanto esplendor que iluminavam todo o palácio com seus raios. E Frei Bernardo tinha na cabeça uma coroa de estrelas belíssimas, e Frei Egídio estava adornado por uma luz maravilhosa. E conheceu muitos outros santos frades entre eles, que nunca tinha visto no mundo. Então, dispensado por São Francisco, voltou ao mundo, ainda que de má vontade. 
Quando despertou e voltou a si, estremunhando, os frades estavam tocando para Prima, de modo que não tinha estado em tudo aquilo senão de Matinas a Prima, embora lhe tivesse parecido que tinham passado muitos anos. Contou em ordem ao seu guardião essa visão. Depois dos sete dias, começou a ter febre.No oitavo dia, São Francisco veio busca-lo segundo a promessa, com uma grandíssima multidão de gloriosos santos, e levou sua alma para o reino dos bem-aventurados, para a vida eterna. 
Para louvor de Jesus Cristo e do pobrezinho Francisco.